Siamo giunti così anche all’ultimo dei sei approfondimenti pensati per ampliare e rendere più “liquide” le tematiche trattate nel mio libro “La crudeltà dei deboli”.
Seguendo un ordine cronologico, ho cercato così di farvi attraversare idealmente circa ottant’anni di storia: partendo dalla pubblicazione di Hereditary Genius, scritto da Francis Galton nel 1865, passando tramite i motivi dell’ascesa del nazismo e i suoi metodi propagandistici, analizzando poi il progetto di eutanasia selvaggia, così come la questione della colpa, una volta terminata la Seconda Guerra Mondiale.
E dopo i processi Norimberga (1945-1946) e quello di Gerusalemme, che vide la condanna a morte di Eichmann (1961), che succede?
Succede che dalla Francia comincia a diffondersi una nuova linea di pensiero, che presto vedrà fare proseliti anche in Inghilterra, USA, Russia, Germania e Italia: il negazionismo, un fenomeno essenzialmente politico determinato dai venti di un’ideologia che nel tempo ha saputo assumere molte facce e che, oggi, si presenta quantomai camaleontica e dai contorni labili.
Ma entriamo nel merito della questione e cerchiamo di capire un po’ meglio di che si tratta.

PREMESSA
Iniziamo subito con una distinzione importante: “revisionismo” e “negazionismo”, nonostante entrambi si adoperino per rovesciare la storia.
Il revisionismo ha origine dalla volontà di storicizzare il movimento nazionalsocialista, con il chiaro intento di giungere ad un suo ridimensionamento più o meno accentuato; Ernst Nolte, uno dei sui massimi sostenitori, concepiva quindi il nazismo come una reazione uguale e contraria al comunismo. La paura di una violenta invasione bolscevica, volta a distruggere le fondamenta costituzionali delle società europee, avrebbe quindi portato a una spontanea reazione uguale e contraria chi, come i nazionalsocialisti, si poneva in netta contrapposizione al comunismo. L’effetto ottenuto da una tale concezione storica è un conseguente stemperamento della gravità dei crimini nazisti, riducendo il genocidio ebraico, per esempio, ad uno dei tanti massacri compiuti dall’umanità nel corso del ‘900. Il revisionismo si presenta quindi come una strategia attraverso la quale offrire una rilettura critica dei fatti e, allo stesso tempo, compiere una rivisitazione di ampio respiro di interi periodi storici, secondo un impianto pseudo filosofico e una spinta ideologica che possa fungere da garante alla solidità della stessa struttura interpretativa.
L’affermarsi del fenomeno del revisionismo, che da sempre privilegia l’approccio al quadro generale, tralasciando gli aspetti ritenuti di dettaglio delle vicende storiche, sui quali non si pronuncia, ha dato la possibilità al negazionismo di avere una propria voce in capitolo, nonché di ritagliarsi un certo accreditamento presso una parte del grande pubblico.
Il negazionismo, infatti, lavora sui dettagli per poi mettere in discussione l’intera intelaiatura dei fatti, così come afferma di poter raggiungere una conoscenza totale degli eventi, seguendo un approccio apparentemente scientifico.

COME OPERA IL NEGAZIONISMO
Il primo obiettivo è quello di invertire l’onere della prova, colpendo in questo modo l’etica della verità.
Pur non negando l’antisemitismo nazista e l’esistenza dei lager, i negazionisti rifiutano con forza l’esito criminale, che portò all’uccisione indiscriminata di donne e uomini in base all’appartenenza di razza.

Tale rifiuto si concretizza mettendo in discussione:
1) il ricorso alle camere a gas e ai forni crematori, in quanto le cause principali delle morti furono l’inedia e la malattia. Le camere a gas erano utilizzate esclusivamente per la disinfezione degli abiti dai pidocchi. I forni crematori, invece, servivano per liberarsi semplicemente dei corpi dei morti.
2) la sua dimensione quantitativa, ossia i 6 milioni di morti, stima che secondo loro appare eccessiva in quanto determinabile, invece, in un numero oscillante fra i 200/300 mila e i 2 milioni.
3) l’intenzionalità e la progettualità dello sterminio in quanto tale, con il coinvolgimento delle amministrazioni tedesche, chiamate in causa affinché potesse materialmente attuarsi. Secondo i negazionisti, non esisteva una politica nazionalsocialista in questo senso: la “soluzione finale della questione ebraica” consisteva soltanto nella loro deportazione fuori dai territori del Terzo Reich.

Altre considerazioni a loro sostegno:
– I resoconti sulla Shoah sono un clamoroso falso storico creato dagli Alleati ai danni della Germania. I documenti sono stati poi acquisiti e diffusi dagli ebrei per dar credito al progetto di creare un proprio Stato nazionale sulle terre palestinesi.
– Le evidenze documentarie sullo sterminio, dalle fotografie alle memorie scritte pervenuteci, sono state fabbricate ad arte.
– I sopravvissuti che hanno testimoniato delle loro vicissitudini sono inattendibili, perché piene di incongruenze ed errori.
– Le deposizioni e le confessioni dei prigionieri di guerra nazisti sono state estorte con la violenza, le torture e la minaccia della pena di morte.
Tutto questo, in barba all’evidenza documentaria e testimoniale sul genocidio degli ebrei per
mano nazista, che trova il suo fondamento storico ed incontrovertibile in un grandissimo numero di documenti scritti (da parte di vittime e carnefici), nonché alla persistenza di installazioni come, ad esempio, quelle di Auschwitz I e II preziosissime per ricostruire le dinamiche dello sterminio, tramite un vero e proprio lavoro archeologico. In ultimo, un fattore statistico relativo alla demografia (sul piano civile, ai registri anagrafici): confrontando i dati di prima e dopo la guerra, dove sono finiti milioni di persone di cui più nulla si è saputo?

COME COMBATTERE IL NEGAZIONISMO
La controffensiva della storiografia ufficiale si articola essenzialmente su due piani paralleli.
1) Il negazionismo deve innanzitutto essere considerato un fenomeno “politico” (antisemitismo) e come tale deve essere studiato, senza operare alcun paragone nei metodi e nei contenuti utilizzati. Si otterrebbe in questo modo uno smascheramento dei reali scopi nascosti dietro al negazionismo, inchiodandolo nella propria dimensione politica e ideologica.
Affrontare invece la questione sotto un profilo “storiografico”, controbattendo ogni loro affermazione, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, soprattutto perché si concerebbe loro esattamente ciò che stanno cercando da tempo: un “diritto di tribuna” e un riconoscimento da parte dell’accademia ufficiale che, implicitamente, consentirebbe di mettere sullo stesso livello verità e menzogna.
Piuttosto, bisognerebbe attrezzarsi in modo multidisciplinare, preparando le nuove generazioni in vari campi, dal tecnologico al chimico, dal medico al giurista, per far propri quegli strumenti utili a compiere un’offensiva educativa che possa disinnescare ogni successo pedagogico di chi fa di tutto per negare l’evidenza.
Le attuali fortune del negazionismo, infatti, sono riconducibili a una sempre maggiore incapacità di analizzare con spirito critico i testi e le fonti storiche da parte soprattutto dei giovani. Oggi, chiunque sia insegnante o genitore, sa perfettamente che i ragazzi utilizzano quasi esclusivamente una modalità di accesso a quella che reputano come verità inconfutabile: il web.
“L’ho trovato su internet”, ripetono come un mantra alla richiesta di citare le fonti da cui hanno attinto, mostrando spesso un’impreparazione totale rispetto alle insidie conoscitive della rete.
Sul web, nel quale le correnti negazioniste sono estremamente attive e sedicenti, viene presentata la narrazione storica come la continua riproposizione di un eterno presente, dove a contare è l’abbondanza di certe tesi, più che qualsiasi ricerca di merito sulla veridicità delle affermazioni.
Insomma, la “verità” in un futuro ormai prossimo potrebbe semplicemente essere legata ad un algoritmo, in grado di restituirci un risultato sul quale non avremmo più le capacità critiche di metterlo in discussione o sul quale non ci interesserà più essere persuasi.

2) Il negazionismo andrebbe combattuto anche con un’azione sul piano giuridico.
Si è molto dibattuto su questo aspetto, perché in modo del tutto strumentale viene messa in gioco da parte dei negazionisti la bistrattata “libertà di opinione”.
Il punto però è chiaro e non dovrebbe dare adito a nessun dibattito: la censura diventa legittima non quando si vuole esprimere un proprio punto di vista, ma nel momento in cui si proferisce una menzogna per mascherare o nascondere un’ideologia politica ben precisa.
Inoltre, l’attivazione di una difesa sul piano giuridico andrebbe incontro ai deportati e ai loro discendenti.
A tal proposito, Jörg Luther, docente di Istituzioni di diritto pubblico all’Università del Piemonte Orientale, scrive: “Le vittime ancora viventi hanno il diritto all’oblio, cioè il diritto di non essere costrette ad attivare la propria memoria per difenderne la verità contro il negazionista. Ma anche coloro che sentono ancora oggi il dolore della perdita delle persone devono essere legittimati a difendere insieme alla propria memoria quella delle vittime, quanto meno della generazione cui si sentono legati tramite discendenza e narrazioni. Vietare il negazionismo li esonera dall’onere della rettifica che riapre le ferite. Il loro diritto alla memoria è diritto al rispetto della persona la cui violazione, in casi particolarmente sensibili, può comportare anche la violazione della dignità umana, cioè una negazione del loro diritto di essere soggetto di diritti e non oggetto di diritti altrui“.
Concretamente, ricordiamo che qualcosa in questo senso si è fatto:

  • La decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia del 19 aprile 2007, assunta sotto la presidenza tedesca. Tale decisione obbliga gli Stati membri a punire, con pene detentive da 1 a 3 anni, alcune condotte caratterizzate da un intento razzista o xenofobo, inclusa “la pubblica apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio o contro l’umanità, i crimini di guerra”, purché “dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al coloro, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto ad istigare la violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro” (art. 1, comma 1);
  • Ancora prima, l’approvazione del Parlamento francese della “Legge Gayssot” (13 luglio 1990), che aggiunge un emendamento all’art. 24 bis della legge del 1881 sulla libertà di stampa per punire coloro che “contestino l’esistenza di uno o più crimini contro l’umanità”. La legge commina a chi diffonde pubblicamente le tesi negazioniste le stesse pene previste per l’istigazione all’odio razziale.
  • E in Italia? Nel nostro Paese non esiste una legge che specificatamente colpisca il reato di negazionismo. Sono, invece, puniti comportamenti quali l’incitamento all’odio e, da un punto di vista penale, l’apologia di delitto. Dopo lungo dibattito tra storici, accademici, giuristi e politici, l’11 febbraio 2015 il Senato ha approvato un disegno di legge per adeguare l’ordinamento italiano agli orientamenti normativi europei, che include, appunto, il divieto di apologia e minimizzazione della Shoah, dei genocidi, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra.

CONCLUSIONI
Oggi il negazionismo agisce sotto una pulsione interclassista, che raccoglie consensi politici e religiosi in modo trasversale.
Non c’è dunque soltanto la spinta di un certo revanscismo nazionalista che, da qualche anno a questa parte, è tornato a mostrare i muscoli e ad alzare di nuovo la voce. Oggi, il negazionismo fa proseliti anche in un elettorato di sinistra, trovando il modo di strumentalizzare il conflitto israelo-palestinese, per gettare discredito sulla storia, confondendola con le scelte (sicuramente discutibili) dell’attuale governo di Gerusalemme. Così come il negazionismo islamico si coniuga con il desiderio di rendere del tutto ingiustificabile la creazione dello Stato d’Israele in Palestina, allorquando questo stesso Stato è percepito come una negazione altrettanto radicale dell’identità nazionale e religiosa palestinese.
Basta forse questo per cancellare la storia o per legittimarne gli intenti?
Oggi come oggi, pare che si voglia andare verso questa direzione.
Tanto più che il negazionismo non intende limitarsi a negare un fatto storico, ma cerca di trasportarlo in una zona “grigia”, di indeterminazione sul piano delle conseguenze giuridiche, attraverso la tanto decantata “libertà di espressione”.
Quello che ci si auspica è che il diritto riesca ad attribuire agli accadimenti una propria qualificazione normativa, riaffermando un giudizio sulla loro manifestazione e sul regime che ha prodotto quel genocidio.
L’introduzione di un “divieto al negazionismo”, divenuta negli ultimi anni sempre più urgente sia in Europa che in Italia, credo che si debba tradurre e concretizzare prima di tutto in un percorso culturale e pedagogico che sappia insegnare efficacemente, alle giovani generazioni e all’opinione pubblica, quella sensibilità civile, tollerante e aperta all’altro, basandosi su una conoscenza quanto più possibile ampia e critica dei fatti storici.
È  questo il motivo per cui ho scritto “La crudeltà dei deboli“.
È per questo se ora, qui, ho voluto condividere il pensiero di storici e giuristi attraverso i miei approfondimenti.
Molto spesso, il linguaggio degli accademici è elitario e non sempre comprensibile.
Nel mio piccolo, ho quindi la presunzione di aver compiuto un atto di responsabilità, di cui ne sento concretamente il peso: quello di essermi fatto anello intermedio tra specialisti e lettori, per offrire una chiave di interpretazione più immediata e fruibile a tutti.
Spero di esserci riuscito.
Con tutto il cuore.

Vi segnalo i libri grazie ai quali ho potuto scrivere questo approfondimento: