È venuto il momento di entrare nel merito della questione.
Oggi, molto spesso, si commette l’errore di paragonare gli stermini nazisti a tanti altri genocidi che, ahimè, la storia del dopoguerra ci ha raccontato sulle pagine dei giornali e sui libri.
Trovo sia una leggerezza imperdonabile, che dimostra quanto sia stereotipata e superficiale la nostra conoscenza degli accadimenti sotto il regime hitleriano.
Il progetto di “eutanasia selvaggia” iniziato dai nazisti alla fine degli anni ’30, così come la “soluzione finale sulla questione ebraica” perpetrata durante gli anni del secondo conflitto mondiale, hanno visto per la prima volta la creazione di un’autentica struttura perfettamente burocraticizzata, volta all’eliminazione sistematica di esseri umani ritenuti inferiori.
Non stiamo dunque parlando di un “semplice” massacro compiuto sul campo, ma -nel caso dell’eutanasia di disabili e malati mente- di edifici adibiti a tenere la contabilità delle persone da sopprimere, di società che si occupavano del loro trasporto alle cliniche in cui sarebbero stati “trattati”, di segretarie che avevano il compito di scrivere false lettere alla famiglia del defunto, così come di inceneritori che avrebbero cancellato ogni traccia di quelle vite definite “indegne di essere vissute”.
Ma cerchiamo di ricostruire i passaggi salienti dello sterminio, per delineare un quadro più esaustivo sulla questione.

IL CASO “K”
La data a cui far risalire l’accaduto non è precisa, ma molte fonti la indicano tra la fine del ’38 e la prima metà del ’39.
Presso la cancelleria del Führer, viene recapitata una lettera da parte della famiglia Knauer (da qui il caso “K”).
A scriverla è un padre disperato per la nascita di un figlio con terribili malformazioni: il bambino, infatti, è nato cieco e menomato.
L’uomo chiede a Hitler un gesto di misericordia, affinché venga soppresso, nonostante le leggi tedesche vietino in quegli anni l’eutanasia.
Il Führer manda quindi il proprio medico personale, il Dr. Brandt, nella clinica di Lipsia dove è ricoverato il neonato per verificarne le effettive condizioni. Appurato che quanto scritto nella lettera corrisponde a verità, viene concessa l’eutanasia per il piccolo Knauer.
Da quel momento, pare, si insinuerà nella mente di Hitler e dei suoi più stretti collaboratori (come il già citato Karl Brandt) l’idea che sia necessario istituire su vasta scala un progetto con cui eliminare tutti i soggetti considerati inutili socialmente.
Il movente? Inizialmente di natura economica, vista la disastrosa situazione debitoria della Germania e i pochi fondi destinati alle cliniche mediche per garantire la salute pubblica.
Chi non può avere una vita normale, fatta di lavoro e famiglia, è visto come un peso, un peso a cui presto verrà tolto ogni diritto più elementare.

IL PROGETTO “AKTION T4”
Con un ordine scritto dal Führer, datato curiosamente 1 settembre 1939 (lo stesso giorno in cui inizia ufficialmente il secondo conflitto mondiale), si dà vita in concreto al processo di eutanasia, facendolo passare per un provvedimento di guerra.
Attraverso tale atto, Hitler incarica il capo della cancelleria Philipp Bouhler ed il dr. Karl Brandt di organizzare fisicamente lo sterminio, scegliendo le strutture ed il personale necessari.
Si stabilisce in primo luogo la sede dell’organizzazione.
A Berlino, al centro dell’elegante quartiere residenziale di Charlottenburg, viene espropriato un villino di proprietà di un ebreo.
Lo stabile si trova al civico numero 4 della Tiergartenstrasse e proprio da questo indirizzo si ricava il nome in codice per l’operazione di eutanasia: “Aktion T4“.
Mentre Phillip Bouhler si disinteressa presto dell’operazione, Karl Brandt (probabilmente in quanto medico) si impegna a fondo nella propria missione.
Per mettere in piedi la struttura Brandt si appoggia al vice cancelliere, Viktor Brack.

Questi decide di creare subito una Direzione della “Aktion T4”: il “Comitato dei Periti“.
Questo Comitato è, di fatto, il vertice dell’operazione e risulta costituito da tre psichiatri nazisti affidabili, che organizzano la struttura amministrativa e ideano tutti i passaggi esecutivi per l’eliminazione dei disabili fisici e psichici.
Allo scopo di mantenere segreto l’intero progetto, vengono costituite tre strutture fittizie: la “Fondazione generale degli istituti di cura”, da cui dipendeva il personale dei centri di morte, la “Comunità dei lavoratori degli istituti di assistenza e di cura del Reich”, che inviava i questionari e approvava le perizie ed infine la “Società di pubblica utilità per il trasporto degli ammalati”. Quest’ultima, con i suoi autobus (prima rossi e poi grigi per farsi notare meno) dai finestrini coperti, eseguiva il trasferimento dagli istituti psichiatrici ai centri di morte.

LA “DIETA E”
Tra le cliniche psichiatriche più tristemente ricordate, c’è quella di Kaufbeuren, nota per il medico Valentin Faltlhauser, suo direttore.
Faltlhauser è l’inventore della cosiddetta “Dieta E” (Sonderkost), una dieta da fame, priva di grassi, a base di sole rape, cavoli e mele, che viene imposta alle vittime (soprattutto bambini, ma anche adulti), con il chiaro proposito di eliminarle.
Nelle intenzioni di Faltlhauser, la “terapia” porterà ad una morte lenta, in un periodo di massimo tre mesi.
E i risultati si vedono presto.
Questa invenzione ha così successo (anche perché comporta una spesa minima per la sua attuazione) che si estende ben presto a tutti i reparti di eutanasia della Germania nazista.
Si registra persino un lato speculativo nella volontà dei dirigenti medici di avere sempre i manicomi pieni di pazienti: dopo aver allestito i reparti “di fame”, ogni paziente costa infatti quotidianamente all’istituto al massimo 46 centesimi di marco, quando gli enti di assistenza corrispondono alla struttura una cifra tra 1,80 e 2,5 marchi al giorno.
Il numero delle vittime sale vertiginosamente in poco tempo, ma non tutti gli operatori sanitari sono concordi nel trattamento brutale riservato ai pazienti.
I medici e gli infermieri coinvolti nel programma di eutanasia, però, venivano costretti al silenzio sotto minaccia della pena di morte. Motivo per cui, non potevano parlare delle procedure in atto nell’istituto nemmeno tra loro e, nella reciproca diffidenza, non osavano scambiare parola.

LE SEGRETARIE DI CONFORTO
A testimonianza della perfezione con cui è stato studiato l’apparato nazista, una volta eliminati i Nutzlose Esser (i cosiddetti “mangiatori inutili”) entrano in azione le segretarie di conforto. Queste figure, che con ogni probabilità sono le sole letterate all’interno dell’organizzazione, hanno il compito di comunicare alle famiglie il decesso improvviso dei loro cari per cause naturali. Le lettere, migliaia di lettere, non devono assomigliarsi per non destare sospetti. Poiché a termini di regolamento non si possono reclamare gli effetti personali oltre i quattordici giorni dalla data del decesso, le lettere vengono mandate apposta in ritardo, così che nessuno possa in qualche modo reclamarle.

TIRANDO LE SOMME
Ufficialmente, quando il progetto “Aktion T4” è terminato (1 settembre 1941), il bilancio parla di 70.273 vittime accertate.
Non sono tutte, però.
I maggiori centri di uccisione vengono chiusi ed altri riconvertiti, dando alle camere a gas un motivo valido per continuare a funzionare. Non per i ricoverati dei manicomi, ma per i prigionieri  dei campi di concentramento più vicini.
Il personale T4, ritenuto prezioso, viene trasferito a oriente, diventando protagonista della “soluzione finale ebraica”.
Probabilmente, quindi, senza l’esperienza dei centri di uccisione non sarebbero stati in grado di immaginare i campi di sterminio.
Nel frattempo, però, ogni bravo dottore continua in proprio, nel proprio ospedale, ciò che prima si faceva nei centri di soppressione.
Al posto delle camere a gas, vengono usate iniezioni letali di scopolamina e luminal per porre fine a migliaia di corpi già debilitati dalla “dieta E”.
Nel frattempo, l’ufficio di Berlino in Tiergartenstrasse n. 4 non ha chiuso i battenti, perché il progetto di “eutanasia selvaggia” continuerà il suo corso fino al 1945, seppur con maggiore discrezione, per non attirare troppo su di sé l’opinione pubblica.
L’ultima vittima registrata ufficialmente il 29 maggio ’45 (quindi a Seconda Guerra Mondiale già conclusa) è il piccolo Richard Jenne, quattro anni, figlio di un operaio bavarese, ucciso presso la clinica di Kaufbeuren.
Con lui, si chiude probabilmente un massacro silenzioso che vedrà perdere la vita complessivamente a 300 mila esseri umani.

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