Dopo Saviano e Capossela, l’incontro con Stefano Rodotà pare essere l’esatta quadratura del cerchio.
Esiste, infatti, una sorta di fil rouge assolutamente macroscopico fra questi eventi, una concatenazione logica che finisce per costituire l’asse portante della più grande libertà dell’uomo: la parola.
Con Saviano si è parlato della sua potenza, mentre con Capossela delle sue origini.
Poteva forse mancare il diritto di esercitarla e, quindi, di esprimersi attraverso essa, trovandoci al cospetto di uno degli autori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, un uomo con un’integrità morale assoluta, che soltanto pochi mesi fa poteva diventare il nuovo Presidente della Repubblica ? Non credo.
Così, Rodotà (80 anni e non sentirli) arriva sul palco di Piazza Castello puntualissimo, il pubblico lo accoglie calorosamente, ma lui non si lascia turbare da tanto affetto. Si siede sulla sua sedia, si vuota un bicchiere d’acqua e inizia una vera e propria lezione, tanto lucida nella sua dissertazione, quanto accessibile nei suoi contenuti, sul “Diritto di avere diritti” (dall’omonimo libro appena uscito per Ed. Laterza).
Nella quarta di copertina del volume appena citato si può leggere “un innegabile bisogno di diritti e di diritto si manifesta ovunque, sfida ogni forma di repressione, innerva la stessa politica”.
Ed è proprio da qui che il professore fa partire il suo ragionamento, dalla necessità di avvertire il diritto come un valore e uno strumento a cui sia possibile sempre rivolgersi, perché fondato sulla giustizia e, soprattutto, aderente ai bisogni umani.
Troppo spesso, infatti, oggi ci troviamo a dover fare i conti con il pericolo di vedere violata la nostra privacy e, di conseguenza, la nostra libertà per fini politici o riconducibili alle leggi di mercato.
Si pensi, ad esempio, a un fenomeno mondiale come il social network Facebook o, più in generale, all’impatto delle tecnoscienze sulla sfera privata, a cui Rodotà dedica nel suo volume una sezione apposita, denominata “La macchina”.
“Il cosiddetto digital tsunami” – scrive “deve essere considerato da diversi punti di vista, a cominciare proprio da quello dell’identità. La piena disponibilità dei dati personali da parte di soggetti pubblici determina un vero e proprio trasferimento della costruzione delle identità a questi organismi, che possono operare sulla base di informazioni di cui la persona non ha notizia”. E ancora “…mai si arresta la registrazione d’ogni nostra traccia. Il conosci te stesso non è più un’operazione che ci obbliga a guardare solo al nostro interno. Ha la sua premessa nella possibilità di attingere a fonti diverse, non tanto per accertare che cosa sanno gli altri di noi, ma soprattutto per conoscere chi siamo nella dimensione elettronica dove si svolge ormai una parte rilevante della nostra vita”.
In poche parole, il rischio è quello di vedere presto la spersonalizzazione del termine identità, ritenuto non più coincidente con quello che diciamo di essere, ma esattamente quello che un motore di ricerca dice che siamo: ovvero un insieme di dati, di informazioni e non un individuo in carne ed ossa.
Rodotà quindi ci mette in guardia da questo inevitabile processo evolutivo assai rapido e pandemico della rete, ponendo l’accento su quello che non dovrebbe mai essere perso di vista nel momento in cui si parla di diritto: l’aspetto umano, inteso come imprescindibile priorità da osservare quando si legifera.
E per questo motivo, il professore si auspica che si torni presto a porre l’accento sulla tutela della privacy, affinché questa non sia considerata ancora meramente sinonimo di chiusura verso il pubblico, ma possa garantire la libertà personale di ognuno di noi, senza che si registrino atti di persecuzione come quelli che alcuni blogger hanno subito nei Paesi arabi o nell’estremo Oriente, dove i regimi tendono a reprimere con ogni mezzo qualsiasi forma di espressione contraria alla loro ideologia.
Insomma, Internet può sicuramente essere una leva straordinaria, soprattutto quando riesce a dare propulsione all’azione di uomini e donne contro i poteri forti e prepotenti: le disuguaglianze si combattono e si denunciano, molti tabù vengono abbattuti, dando vita ad una nuova idea di cittadinanza su scala planetaria, dove sia possibile rimettere al centro la dignità delle persone.
“La narrazione dei diritti è dunque la narrazione dell’umanità” – ci ricorda infine. “Ogni diritto non dovrebbe essere in alcun modo negoziabile, come non dovrebbe essere intaccato da ipocrisia e immoralità. Perché nell’incertezza del diritto viene meno la democrazia”.
La platea assiste all’incontro in religioso silenzio, fino a quando lo stesso Rodotà non concede la parola al pubblico per le consuete domande.
E mentre queste si susseguono instancabilmente, mi guardo in giro.
Negli occhi della gente c’è una strana luce, un misto di ammirazione e di utopico consenso, come a dire “quanto vorremmo che il mondo fosse governato soltanto da persone così”.
Pochi istanti prima di congedarsi, uno spettatore gli grida che, moralmente, è il suo Presidente della Repubblica.
Lui minimizza, fa un cenno con la mano, trattenendo un timido sorriso.
È proprio vero, la grandezza di un uomo passa anche dalla sua umiltà.

(Luca Artioli, Mantova 06/09/2013)