Questo libro scaturisce dal convegno che gli dà il titolo e che si è tenuto dal 13 al 15 maggio 2011 nello splendido scriptorium dell’Eremo camaldolese di Fonte Avellana (PU). Ogni lettore sa che, se viene “preso” dalle pagine, vi si immerge, ne viene assorbito e varca così una soglia, anche temporale. I contributi qui raccolti spaziano dalla poesia alla filosofia, dalla teologia alla critica letteraria, dalla confessione al saggio giuridico, dal racconto alla riflessione sociologica. Ogni autore ha il suo approccio, il suo vissuto, le sue credenze, eppure i loro scritti compongono un mosaico suggestivo e significativo: i nostri occhi lo potranno percorrere soffermandosi su questa o quella sezione, a partire da questo o quel particolare e vedranno aprirsi delle finestre temporali, snodarsi dei sentieri fra tessere anche molto lontane e magari scoprire che si può alimentare un tempo felice anche oggi, attraverso una scrittura che sappia farne tesoro e superarlo con i neutrini di una umanità aperta al noi con quell’empatia che è forse più veloce della luce. I raggi della meridiana sulla sabbia ci ricordano che ogni nostro agire è scegliere/scoprire il momento per, e ogni nostra azione è dunque unica e preziosa, sospesa com’è sul filo del tempo che assieme agli innumerevoli fili degli altri compagni di viaggio tesse la trama della storia e del mondo (e, per chi crede, anche quella del Regno dei cieli).

 

Un estratto del mio contributo:

Il valore del tempo nella parola

Dice Ernst Junger nel suo Il libro dell’orologio a polvere: “Il tempo che ritorna è un tempo che dona e restituisce. Le ore sono ore dispensatrici. Sono anche diverse l’una dall’altra perché ci sono le ore di tutti i giorni e le ore di festa. Ci sono albe e tramonti, basse e alte maree, costellazioni e culminazioni. Il tempo progressivo, invece, non viene misurato in cicli e moti circolari, ma su una scala graduata: È un tempo uniforme. Qui i contenuti passano in secondo piano.“

Da questa citazione potrebbe scaturire tutta una serie di spunti e di riflessioni che, a seconda dell’approccio usato – sia esso classico o più strettamente biblico -, non troverebbe univoca soluzione.

Sappiamo che fondamentalmente esistono due linee concettuali riguardanti il tempo:

1) La prima classica, appunto, che nasce con la cultura greca (e che prosegue con quella romana), dove il tempo è vissuto come ciclico, come ordine misurabile del movimento, ossia come dimensione del perdurare delle cose mutevoli e come ritmica successione delle fasi in cui si svolge il divenire della natura. Il fato, quindi, diventa l’elemento essenziale di questa concezione temporale, elemento di cui lo stesso “tempo” ne è succube.

2) La seconda, invece, nasce in un contesto biblico e si lega alla cultura ebraico-cristiana, assumendo la connotazione di un tempo lineare, dove l’ebreo vede nella Creazione Divina del mondo il suo punto iniziale e nella venuta del Messia (con il conseguente Giudizio Universale) il suo punto di arrivo. È perciò Dio (e non il fato) il perno attorno al quale ruota la visione provvidenziale del tempo, un tempo in cui la figura divina agisce a favore dell’uomo, conducendolo verso la meta escatologica. Quella che gli darà l’eternità, il cosiddetto “tutto in tutti”.

Detto questo, sappiamo anche che, all’interno della problematica legata al tempo, ne esiste un’altra riconducibile all’azione umana.

Da qui, la dicotomia fra chronos e kairos, dove il primo sottende all’aspetto puramente logico e sequenziale dello scorrere delle ore (con il suo passato, presente e futuro), mentre il secondo… (continua sul libro)

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